XVII Biennale di Poesia di Alessandria

Di seguito quattro sonetti dal ciclo “cronache di una somiglianza”, di prossima pubblicazione; il primo (qui proposto con una piccola variazione), antologizzato negli atti della XVII Biennale di  Poesia di Alessandria, è stato premiato con segnalazione al Premio “Lorenzo Montano” 2015 ed è presente sul numero XXVIII di “Carte nel Vento”, periodico on-line del Premio medesimo (clicca qui per leggere la scheda critica sulla rivista).

 

A Victoria

*

Anche il ricordo del tuo bel vestito
color cinabro come la parete
in questa mia stanza, induce la sete
di cercarti in un vago requisito

degli occhi. Dal lampadario un tinnito
segnala i tuoi rintocchi. Quali mete
diranno dove le nostre incomplete
speranze troveranno lo spartito,

gli attimi più giusti, una melodia
di tumulti, concessi fatalmente
a orchestre dei sensi? Nell’euforia

che sequestra il pensiero e irriverente
dei nostri animi fiuta l’anarchia,
forse sapremo che anche il mondo è niente.

 

*

Quale rigore attraversa un abbraccio
quando il contegno del corpo lo cede
all’irruenza più tenera, alla fede
mai arresa, al torto del tempo? Il setaccio

dell’aria smuove col tremulo ghiaccio
ciò che sulla finestra non si vede,
un pulviscolo dai tetti cui chiede
d’essere nell’anima. Oh il tuo polpaccio

sul letto come un discolo sorpreso,
scalpita intanto che vigile intaglia
la strana intimità, lo spazio sceso

su ilari nudità come una faglia
di luce. Come se non abbia peso
il cuore più d’ogni altra ombra che staglia.

 

*

Dalla roca gola delle sue chiese
risale il canto della terra, immenso,
soave e languido come l’incenso
effuso fra i mosaici delle attese,

tra le formule devote rapprese
nell’oro delle icone. Quale senso
vi mormora il chiarore che un assenso
depone sulle tue ciglia, indifese

come il selciato già fresco di pianto?
Anche i tuoi occhi sono vie lastricate
di sogni e mattini felici, manto

sopra ai tralicci dei tramvai. Solcate
da un’illesa movenza, questo vanto
il culto ossequi delle nostre giornate.

 

*

Ammiro la tua figura riavvolta
nell’assorto splendore della stanza,
lì dove un sorriso con la costanza
d’un riserbo apre lo stipo ogni volta

della felicità che ne è già assolta.
Da noi? O un’inopinata somiglianza
ormai mi dipinge questa mancanza
con la volontà da cui vi è raccolta?

Per i tuoi fianchi, per la nube d’oro
che t’adombra il viso, vorrei scrivere
i miei versi su d’un lenzuolo; loro,

tanto incauti, saprebbero imprimere
il sudario e il fervore che gli imploro,
come una reliquia in cui sopravvivere.