Tributo a Carlo Emilio Gadda

L’immagine in evidenza di questo articolo è una foto di Roberto Valentini Licenza Creative Commons

Si sa, il manierismo deve essere “una invenzione copiosa di tutte le cose” (Vasari), e, di sicuro, per quanto incline a un certo dilettantismo e priva di un profondo impegno spirituale, la seicentesca poetica marinistica della meraviglia ebbe in ogni caso il merito di frugare la realtà scorgendone aspetti, forme e figure ormai sconosciute a una  sbiadita e consumata tradizione petrarchesca. Ebbene, se fosse possibile intonarne ancora il gusto barocco, lo invocherei certamente a salvacondotto di questo “raccontino”/memoria vergato durante i vent’anni, nel pieno d’un euforico trasporto per le letture del Gadda “milanese”; slancio che, anche grazie all’incoscienza anagrafica, mi indusse al tentativo  di “emularne” lo stile, ovviamente – si parva licet – bel lungi dalla sua originalissima innovazione plurilinguistica. 
“Il miglior modo di leggere è scrivere”, come ben disse qualcuno; si guardi dunque a tale esercizio giusto come il più valente riconoscimento che la mia ammmirazione potesse restituire al genio dell’autore de L’Adalgisa; analogamente ritengo che proprio il suo tratto acerbo ma entusiastico sia in fondo il pregio per cui valga la pena sottrarlo dall’asfissia del cassetto. Come ai canzonieri d’un Artale, d’uno Stigliani o d’un Fontanella (che mai  accosteranno la poesia del Marino), si riconoscerebbe pur sempre l’esperimento onesto, lo sforzo d’un lavorio sulla lingua che non lascia intentata la poetica della meraviglia, così vorrei dire a tutela di questo breve scritto, in vero assai impressionistico. In attesa di più maturi lavori di prosa (odierne “sudate carte”), con ilare disinvoltura (me la si conceda) sia allora offerto alle curiosità altrui.